Sint Unum
Sfide e prospettive oggi
Seminario teologico della Congregazione
Roma, 11-18 luglio 2020
Messaggio finale
Il nostro seminario
Cari confratelli, cari membri della Famiglia dehoniana,
1. nei giorni 11-18 luglio 2020 si è celebrato il Seminario teologico della Congregazione dal titolo «Sint Unum: Sfide e prospettive oggi». Originariamente previsto a Yaoundé (Camerun), il seminario si è svolto online a causa della situazione provocata dalla pandemia. Ciò ha comportato dei limiti nel confronto fra di noi, ma in qualche modo è stata la possibilità realistica che il nostro tempo ci ha offerto di vivere il Sint Unum e di esercitarlo in modo concreto e costruttivo.
2. Come si legge nella lettera del Comitato preparatorio, esso «intende esplorare l’attualità, le sfide e le implicazioni del Sint Unum non solo per la Congregazione ma anche per il nostro mondo, segnato oggi da crescenti particolarismi e contrapposizioni. Il Sint Unum, centrale nella tradizione dehoniana, consente di riflettere sul nesso fra dimensione spirituale, comunitaria e sociale. In tal modo si cercherà di mostrare come il tema abbia ancora molto da dire per la società odierna». Le parole di introduzione del Padre Generale ci hanno incoraggiato a vivere il Seminario in questo modo.
La realtà del peccato
3. Come afferma la nostra Regola di Vita (cf. Cst. 4), P. Dehon era «molto sensibile al peccato» che ha saputo analizzare nelle sue cause e nelle sue conseguenze. Egli ne ravvisava le radici «nel rifiuto dell’amore di Cristo»: non solo nel rifiuto di amare Cristo ma anche, e soprattutto, nella chiusura all’amore che viene da Lui. 4. È a partire da questo sguardo teologico, e più precisamente cristologico, sul peccato che possiamo percepirne il dramma e al tempo stesso comprendere come esso incida necessariamente sul piano antropologico, comunitario, sociale e cosmico. Il peccato, cioè, minaccia l’integralità della persona, i nostri legami con l’altro, il nostro rapporto con l’intero creato.
5. Molteplici sono le manifestazioni del peccato e camaleontiche le forme in cui esso si presenta. Già nella Lettera preparatoria al Seminario si menzionavano «nazionalismi preoccupanti, questioni raz-ziali e religiose, tribalismi, etnicismi, razzismi, sistema di caste, ecc. che toccano (per ferire) le nostre comunità e le nuove generazioni». A questo si possono aggiungere altre manifestazioni: per es. l’oblio di Dio; l’assolutizzazione della libertà senza vincoli e responsabilità; la negazione della dignità dell’altro mediante l’esercizio irresponsabile del potere e dell’autorità; la cosificazione dell’altro; la povertà economica derivante da forme oppressive e da sistemi finanziari iniqui; lo sfruttamento indi-scriminato del creato («peccato ecologico»). Ci sembra particolarmente importante mettere in rilievo come queste diverse forme costituiscano una «pseudo-cultura», definibile come «cultura della morte» (Giovanni Paolo II) o «cultura dello scarto» (Francesco), e si cristallizzino in strutture inique («strut-ture di peccato»). Un discorso sul Sint unum che prescinda dalla complessità e dalla pervasività di queste dimensioni rischia di essere puramente spiritualista.
Le dimensioni del Sint Unum
6. Dinanzi a questo scenario risuona con insistenza l’invito di Gesù affinché tutti siano una cosa sola (cf. Gv 17,11.21-22). Se il peccato è in ultima analisi distruzione, rottura dei legami che onorano la dignità dell’uomo e del mondo, il Sint Unum appare la risposta che Dio si aspetta dai suoi discepoli e dall’intera umanità. Di esso mettiamo in rilievo tre aspetti, con le sfide – e prospettive – che lo accompagnano e che interpellano la nostra Congregazione.
a) Priorità dell’Agape di Dio in Cristo
7. Proprio l’affermazione che la radice del peccato si trova nel rifiuto o nell’indifferenza dell’amore di Cristo (verso di noi), mette in luce l’opzione ermeneutica di padre Dehon: anziché comprendere l’amore di Cristo alla luce del peccato, egli comprende quest’ultimo alla luce dell’amore di Dio. Per questo peccato e Sint Unum non sono sullo stesso piano: c’è una priorità dell’amore (agape) di Dio in Cristo, che fonda anche la possibilità di vivere il Sint Unum. Questa priorità la cogliamo nel fatto che Cristo si è abbassato (kenosi) fino a morire per noi (cf. Fil 2,6-11), per riunire insieme tutti i figli di Dio (cf. Gv 11,52). Risorto, con il Padre egli prende dimora in noi (cf. Gv 14,23) e ci attira verso di sé, per farci partecipi della sua piena comunione d’amore con il Padre e lo Spirito.
8. Da qui emergono alcune sfide per noi:
– vivere in modo pieno l’unione con il Cuore di Cristo, soprattutto a partire dall’eucaristia in cui egli ci rende «un solo corpo e un solo spirito»;
– condurre una vita pienamente integrata e unificata;
– testimoniare che il Sint Unum, prima di essere uno sforzo umano, è un dono della Trinità;
– vivere la riparazione come risposta impellente alla priorità dell’amore oblativo di Dio per noi, vale a dire come «accoglienza dello Spirito» (Cst. 23).