Assemblea Albino
Con tutte le precauzioni per l’emergenza sanitaria in corso – dal distanziamento (non più di tre persone a tavola!) all’uso delle mascherine, sia per le liturgia che per le riunioni – il 17 e 18 settembre si è tenuta ad Albino la prima delle due assemblee delle comunità previste in vista del prossimo capitolo provinciale. Vi hanno partecipato una quarantina di confratelli, insieme al provinciale e agli ormai famosi tre confratelli “visitatori”. È stato con noi anche p. Stephen Huffstetter, vicario generale e consigliere incaricato di seguire la nostra provincia religiosa.
La vera novità, però, è stata che la guida dell’assemblea è stata affidata a una coppia di sposi del movimento dei focolari, Alberto ed Eva, che compongono, insieme ad alcuni nostri confratelli, la commissione di preparazione del capitolo. Lo slogan suggerito è stato «partecipare tutti, partecipare ciascuno», con l’idea che il capitolo provinciale è già cominciato. Non a caso, ciò che è uscito da questa assemblea, così come da quella di Capiago, entrerà nell’Instrumentum laboris del capitolo.
L’approccio di Alberto e Eva ci ha coinvolto in dinamiche vivaci, fatte non di discussioni interminabili e spesso sterili, ma di piccoli gruppi, proposte sintetiche, coinvolgimento di tutti. L’attività iniziale ci ha subito fatto tirar fuori i desideri che muovevano il nostro stare lì, le aspettative comuni sia rispetto al vissuto dei due giorni sia in prospettiva dei risultati che vorremmo conseguire. In modo particolare è emersa la ricerca di un’anima comune, di orientarci a scelte chiare, di maggiore consapevolezza dei problemi e delle sfide della provincia, non indulgendo al pessimismo e allo scoraggiamento.
Un momento molto sentito del primo giorno è stata la lectio divina sul Vangelo del giorno (Lc 7,36-50) introdotta da p. Daniele Piccini e poi proseguita in piccoli gruppi, composti da confratelli di diverse comunità. L’incontro della donna peccatrice con Gesù mostra come il Signore venga a mettere in crisi uno sguardo umano fatto di pregiudizio, fissato su schemi già conosciuti. Simone, portavoce della religiosità ufficiale, è chiamato a convertirsi. Il focus è sulla relazione, sul momento conviviale del pasto, durante il quale Gesù ci restituisce un nuovo modo di vedere, ci offre un’apertura possibile perché lui possa entrare nella nostra vita. Proprio perché la peccatrice sembra umanamente perduta, non ha nulla da perdere e Gesù può così essere salvezza per la sua vita, manifestandosi come amore eccedente e gratuito.
Il lavoro del pomeriggio si è svolto con il metodo denominato Open Space Technology ideato da Harrison Owen. Si sono formati sette tavoli di discussione su ambiti “sensibili” della nostra vita (queste le fantasiose titolature: «Albero e radici: pastorale della quarta età» – «Da econoMIA a ecoNOSTRA» – «Nessun dehoniano è un’isola: internazionalità e missione» – «“Piove… governo ladro!”: strutture di governo» – «Formiamoci un attimo: comunità, pastorale, cultura» – «Solidali con…» – «Non più soli: pastorale integrata»). Ognuno di noi era libero di andare a discutere il tema che gli interessava partecipando a un tavolo e potendo poi passare in qualunque momento a un altro tavolo. Quattro i principi di base del metodo («Chiunque partecipa al gruppo è la persona giusta»; «Qualsiasi cosa succede nel gruppo e l’unica cosa che poteva succedere»; «La discussione comincia sempre al momento giusto»; «Quando la discussione è finita, è finita»).
A partire dalle sintesi delle proposte avanzate nei singoli tavoli, il giorno successivo si sono costituiti i cosiddetti «tavoli della fiducia», incaricati di elaborare e sistematizzare il contributo elaborato nel lavoro del giorno precedente. Il documento prodotto è stato quindi discusso in plenaria, disciplinata secondo un sistema per cui a ognuno sono stati dati tre ticket di due minuti ciascuno da “spendere” per chiedere una modifica o un’aggiunta a quanto elaborato nei tavoli della fiducia. Si sono avuti così (almeno in molti casi!) interventi mirati e concreti.
Durante l’assemblea non sono naturalmente mancate alcune “pillole di saggezza” del Provinciale che nei suoi brevi interventi ha offerto degli spunti di riflessione sulla tematica comunitaria. Se è vero che la comunità ideale non esiste, questo non significa che non dobbiamo tendere a un sempre di più, evitando di indulgere a lamentele e disfattismi. La comunità in fondo siamo noi: la nostra realizzazione personale non è alternativa alla crescita comunitaria, anzi. Ormai superato il modello della comunità di osservanza, va costruita la comunità fraterna. Essa non è un nido sicuro, né un albergo, ma uno stare insieme di fratelli convocati dalla misericordia di Dio. Così, la nostra crescita nella fraternità può avvenire solo a partire dai nostri limiti accettati e vissuti alla luce del Vangelo.
Quella di Albino è stata un’assemblea vivace, partecipata e responsabile, in cui si è respirato un clima di condivisione fraterna. Il che, inutile dirlo, fa ben sperare per il prossimo capitolo provinciale.
Stefano Zamboni