P. Rinaldo Paganelli

Nato a Grignano (BG) il 24 febbraio 1955
Prima professione il 29 settembre 1976
Professione perpetua il 29 novembre 1979
Ordinazione sacerdotale il 19 settembre 1981.
Attualmente risiedeva presso la Comunità di Roma Cristo Re

P. Rinaldo era nato a Brembate di Grignano, in provincia di Bergamo, il 24 febbraio 1955, battezzato il 27 febbraio nella parrocchia dei Ss. Pietro e Paolo e cresimato il 07 ottobre 1967 nella stessa chiesa.

Il 29 giugno 1972 entrò come postulante a Monza e fu ricevuto come novizio il 28 settembre 1975 ad Albisola, dove emise la prima professione il 29.09.1976. La professione perpetua fu, invece, a Bologna il 24 novembre 1979 e sempre nel capoluogo emiliano fu ordinato sacerdote, in cattedrale, il 19 settembre 1981.

Frequentò il ginnasio a Padova tra il 1969 e il 1972, poi il liceo a Monza fino al 1975. Dopo aver conseguito la maturità classica, studiò filosofia e teologia a Bologna dal 1976 al 1981 e dal 1982 al 1985 frequentò il corso accademico di Catechetica all’Università Pontificia Salesiana di Roma, con conseguimento della licenza. Fece anche il dottorato in catechetica e pastorale giovanile sempre all’UPS.

A Monza dal 1985 al 1987 ha collaborato per Evangelizzare (di cui è stato anche direttore) e a Bologna dal 1987 al 1996 per Settimana.

Dal 1994 al 2000 è stato consigliere provinciale. Per due trienni, dal 1996 al 2002, fu rettore dello Studentato a Bologna; è stato membro della commissione Spiritualità e Apostolato dal 1997 al 2002, presidente della Dehoniana Libri dal 2000 e dal 2002 al 2005 ha collaborato con il Centro Dehoniano.

Dal 2005 al 2010 ha prestato servizio presso la parrocchia di Cristo Re a Roma e dal 27 agosto 2010 il superiore generale di allora, José Ornelas Carvalho, lo nominò collaboratore della Curia generale per svolgere svariati impegni tra i quali quello di segretario personale del padre Generale, di aiutante in alcuni settori del governo generale, nonché l’incarico di responsabile per l’elaborazione dei verbali del Consiglio generale; l’incarico gli fu rinnovato nel 2013 per un altro triennio.

Nel 2018 venne trasferito alla comunità di Roma Cristo Re. È stato docente presso l’Università Pontificia Salesiana.Uomo di spiccata ironia e di un apprezzabile senso dell’umorismo, lo conobbi la prima volta in occasione del Capitolo provinciale ITS del 2021 ad Albino: padre Rinaldo era verbalista e in più di un’occasione mi aiutò a “sdrammatizzare” situazioni che a me, alle prime armi, sembravano scogli insormontabili. Abile penna, dallo stile scorrevole, che rispecchiava la sua ironia e la sua profondità d’animo e sensibilità, si è mostrato sempre disponibile, ogni volta che gli chiedevo una sua collaborazione per il CUI mensile. Nel gennaio del 2022 era stato nominato membro del gruppo “ad hoc” per l’Impegno culturale. Una malattia impietosa e repentina lo ha sottratto troppo presto, all’alba del 19 ottobre 2024, all’affetto dei suoi cari, dei suoi confratelli e di quanti gli hanno voluto bene e apprezzato la sua umanità.

Simona Nanetti

Omelia alle esequie a Roma Cristo re

Care sorelle, cari fratelli in Cristo,

al centro di questa liturgia c’è la fede della Chiesa che proclama Gesù Signore, vincitore della morte e Spirito datore di vita (cf. 1Cor 15,45). È in questa luce che il nostro congedo da padre Rinaldo assume verità e consistenza.

L’omelia non è il luogo per ricordare diffusamente le tante attività – l’insegnamento, la formazione dei catechisti, le pubblicazioni, l’accompagnamento spirituale – che hanno segnato la sua vita e alle quali Rinaldo si è sempre dedicato con impegno instancabile. Altri saranno i momenti in cui tutti questi ambiti potranno esser fatti oggetto di memoria e di studio.

Ricorderò solamente ciò che ha segnato, come filo rosso, la vita e il ministero di Rinaldo: la passione per l’annuncio del Vangelo, per comunicare oggi, nel nostro tempo, la bellezza dell’incontro con il Risorto. È per questo che oggi abbiamo ascoltato il versetto di Isaia «Come sono belli sui monti i piedi del messaggero» (Is 52,7) ed è risuonato il testo evangelico dell’incontro fra Gesù e la Maddalena, che si conclude con l’annuncio ai discepoli: «Ho visto il Signore!».

Per comprendere un po’ il senso di questa nostra liturgia esequiale, vorrei soffermarmi sul contesto in cui si svolge l’incontro tra il Risorto e la Maddalena, che è anche un simbolo potente ed evocativo: il giardino. L’immagine era molto cara a Rinaldo che qualche anno fa le aveva dedicato un libro. «In un giardino – scriveva – tutto è iniziato e in un giardino la vita ha vinto la morte, un giardino ci attende e un giardino siamo invitati a coltivare qui in questo tempo» (Barbon – Paganelli, Li pose in un giardino, p. 5).

Il giardino, dunque, collega l’inizio e la fine, il tempo storico e il tempo definitivo, la cura e l’attesa. Il giardino è figura dell’incontro fra l’umano e il divino. Nel giardino delle origini l’uomo riceve da Dio il compito della custodia e della coltivazione, nel giardino della risurrezione il Risorto si fa riconoscere per colmare in modo sovrabbondante ogni nostro desiderare.

Il giardino evoca anzitutto la cura: Dio chiede che ciò che di prezioso viene donato ad ognuno di noi sia custodito, apprezzato e amato. E in ciò vi è la richiesta di un’arte particolare, che è l’attenzione alla peculiarità di ciascuno, perché la cura esige il rispetto e la valorizzazione di ogni singola persona, di ogni singola vicenda esistenziale. È la cura che Rinaldo ha cercato di offrire ai tanti con i quali è venuto a contatto, ma è anche la cura che Rinaldo ha sperimentato durante la sua malattia: quella di quindici anni fa, che aveva affrontato e superato, e quella scoperta solo un mese e mezzo fa, che lo ha infine sottratto al nostro contatto terreno. So per certo quanto Rinaldo abbia apprezzato i singoli gesti di cura che ha ricevuto, la semplice presenza accanto al suo letto, l’affetto che ha sperimentato. Qui non posso non ringraziare tutti coloro che si sono fatti vicini in questi ultimi giorni di sofferenza: i medici e gli operatori sanitari (e in modo del tutto particolare Enza), i famigliari, i confratelli (fra tutti il superiore di questa comunità, p. Riccardo), le suore, gli amici.

Nel giardino della risurrezione avviene poi il riconoscimento: la Maddalena – che è donna del desiderio e della ricerca – riconosce in colui che aveva scambiato per il custode del giardino il suo Signore. Esclama: «Rabbunì! Maestro!». E lo riconosce perché è stata prima di tutto lei ad essere chiamata dal Risorto: «Maria!» (cf. Gv 20,16). Riconosciamo il Signore nella nostra vita solo quando ci sentiamo chiamati per nome da Lui, che conosce, cura e apprezza la nostra irripetibile unicità. Lo spazio del giardino diventa luogo del riconoscimento e insieme luogo della riconoscenza. Riconoscere è sempre anche essere riconoscenti. Noi oggi, qui, nel riconoscere in questa celebrazione la presenza del Risorto nel suo Sacrificio d’amore e di vita, vogliamo dire la nostra gratitudine per la vita di Rinaldo, per la sua scelta di vita consacrata dehoniana e per il suo ministero sacerdotale, ma anche per tutti coloro che lo hanno accompagnato, per brevi o lunghi tratti, nel suo cammino terreno.

Il giardino dell’incontro fra il Risorto e la Maddalena è, infine, lo spazio della Vita non trattenuta. Gesù ingiunge a Maria Maddalena di non trattenerlo, perché deve “salire” al Padre (Gv 20,17). Il Risorto ci insegna che la vita – non solo la sua, ma ogni vita – sempre sfugge alla nostra presa, si sottrae alla nostra volontà di dominio, è sacra e trascendente. E ci insegna anche che dobbiamo essere capaci di lasciar andare coloro che amiamo. Essi, infatti, non sono destinati ad essere inghiottiti nelle tenebre dell’incognito, ma ad essere accolti da un Dio che in Gesù osiamo chiamare Padre. L’ultima volta che ho visitato Rinaldo in ospedale, a un paio di giorni dall’operazione e una settimana prima della morte, alla fine del nostro colloquio mi ha chiesto la benedizione. Un gesto semplice, fatto di poche parole ma colmo di grazia e di consolazione, perché è gesto di affidamento a Colui nelle cui mani affidabili siamo al sicuro.

È significativo che il libro dell’Apocalisse si concluda con l’immagine della Gerusalemme nuova che discende dal cielo. È una città, ma al suo interno è posto un giardino, al cui centro c’è l’albero della vita (cf. Ap 22,1-2). È qui che il Risorto incontra, nella gioia del riconoscimento pieno, i suoi amici. È qui, nel giardino definitivo, che Rinaldo incontrerà il suo Signore e potrà gustare in pienezza i frutti dell’albero della vita nuova ed eterna. Amen.

p. Stefano Zamboni

Omelia alle esequie a Grignano

Cari fratelli, Claudio e Alessandro con le famiglie, P. Giuseppe che dal Messico si unisce a noi con la preghiera e a tutti voi parenti amici e a voi confratelli

Siamo qua per dare il saluto al nostro fratello P. Rinaldo, e al centro di questa liturgia c’è la fede della Chiesa che proclama Gesù il Signore risorto, vincitore della morte e Spirito datore di vita (cf. 1Cor 15,45)… hai scritto bene sull’immagine ricordo: “Al Soffio dell’ Onnipotente che mi dà vita”.

È la sua Parola che dà senso e forza a questa celebrazione piena di dolore ma di tanta fede e speranza. È in questa luce che il nostro congedo da padre Rinaldo assume verità e consistenza. Lo salutiamo nella fede, quella fede che ha sorretto la sua vita fino all’ultimo giorno.

È la nostra fede è la fede della Chiesa intera.

Conosciamo molto bene tutto quello che p. Rinaldo ha fatto in questi anni di vita, tutto il bene comunicato – attraverso l’insegnamento, la formazione dei catechisti, le pubblicazioni, l’accompagnamento spirituale – che hanno segnato la sua vita e alle quali si è sempre dedicato con impegno instancabile.

Oggi vorrei parlare del confratello p. Rinaldo religioso dehoniano, meglio del sacerdote del Sacro Cuore e pensando a lui come religioso mi è venuto in mente l’atto di oblazione che noi dehoniani recitiamo ogni giorno … «O Gesù Sacerdote misericordioso… alla tua obbedienza d’amore uniamo la nostra anche quando domanda un più grande distacco».

15 anni fa p. Rinaldo ha scritto in occasione della sua malattia un libretto con il titolo: Malato, mi hai visitato – che riecheggia proprio il brano evangelico che abbiamo ascoltato poco fa…

«Anche voi tenetevi pronti, perché il Figlio dell’uomo verrà nell’ora che non pensate». «Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà al suo lavoro. In verità vi dico, lo metterà a capo di tutti i suoi averi».

Mi piace pensare che Rinaldo consegni non solo il suo testamento ma anche la modalità con cui ha cercato di vivere quest’ultimo tratto di strada terrena, in compagnia di un male terribile e fulmineo.

Cosi scriveva nel suo libro: «Ho parlato poco con le persone e un po’ di più con Dio. Le parole mettono in comunicazione con gli individui, il silenzio mette in comunicazione con Dio. Quando mi sono liberato dal dire troppe cose, ho liberato Dio, permettendo che l’amore fosse dentro di me» (p. 109).

La malattia è tempo di silenzio: le parole che si dicono o si ascoltano a volte sono troppe, a volte sono inopportune, a volte sono addirittura controproducenti. Nel silenzio invece c’è lo spazio per ascoltare Dio e la sua parola che non è mai inopportuna.

È quanto Rinaldo ha sperimentato… Gesù nel brano di Vangelo che abbiamo letto, e si rivolge proprio a chi, come noi, è diventato discepolo. Ci dice amichevolmente: ti ho cercato, mi sono rivelato, ho aperto il tuo cuore, l’ho inondato di luce, ti perseguito con i miei benefici, mi sei prezioso, ti circondo di segni, sappilo.

P. Rinaldo in questi 40 giorni di ospedale non si fatto mai mancare l’eucaristia…anche prima di essere portato in sala operatoria ne ha preso un pezzettino

In queste parole, prese sempre dal suo libro, si dischiude il dehoniano che ha abitato in lui: «il vero compito all’interno della malattia è questa fatica del continuare a credere all’amore: all’amore attivo verso gli altri e all’amore degli altri verso di noi. […] In questo senso, proprio perché la malattia, se vissuta nell’amore, diventa obbedienza a Dio, allora può essere offerta con tutta la vita a Dio, non semplicemente come dolore e fatica, ma come capacità di assumere un nuovo modo di vita» (pp. 82-83).

Ecco io vengo per fare o Dio la tua volontà, rafforza in noi questa disposizione che animò il tuo cuore di Figlio… ecco ancora quell’ oblazione che è stata la caratteristica della sua vita.

Paolo nella lettura che abbiamo ascoltato fa coincidere, con il coraggio (che ci è donato) di «avvicinarci a Lui in piena fiducia». La ragione di questa piena fiducia? La passione, morte e risurrezione di Gesù, il suo “raccontarsi” a noi nel Vangelo, rivelandoci l’amore del Padre e quindi la modalità di questo nostro “coraggio” di “piena fiducia”.

L’amore come offerta, il coraggio e la fiducia, come forza donano e hanno donato a P. Rinaldo senso di ogni cosa, anche della sofferenza.

P. Rinaldo voglio regalarti quello che ho sentito dentro l’ultima notte di guardia che ho scritto e perfezionato quando stavo davanti alla tua bara prima di essere chiusa.

Signore, p. Rinaldo sta morendo, ma mi ha riconosciuto quando sono arrivato e c’erano accanto a lui Enza e Giuseppina, fedeli come sempre ad accompagnarti, i tuoi occhi sono aperti e fissano chi è accanto al letto…poi alla fine sono rimasto solo. È stata lunga quella notte!!

Ogni volta che entravo e uscivo da quella stanza sentivo gli occhi su di me … gli occhi di un morente … di chi ha già l’anima in cielo e il corpo ancora su questa terra.

E’ lo sguardo di chi implora te, Signore, di rimanere ancora un poco con chi ama, è lo sguardo di chi si è arreso alla tua volontà, di chi attende il tuo abbraccio, di chi (forse con un poco) non ha paura (ma sa che) perché oramai sa che tutto è compiuto «accetta la nostra vita che desideriamo offrirti fino al sacrificio TOTALE di NOI STESSI» …

Lo sguardo di un morente è come una spada affilata che penetra nel punto più profondo dell’anima per lasciarmi lo sguardo amoroso di Dio che lo ha visitato e nella sua sofferenza si è fatto Compassione accanto a lui… ”malato mi hai visitato”.

Gli occhi di p. Rinaldo raccolgono tutta la sua vita, le sue gioie e suoi dolori, tutti gli affetti, tutti i successi e le sconfitte per presentare tutto a te.

E mentre con lo guardo invoco te Signore per lui che presto ti incontrerà e, il sacerdote del Sacro Cuore umano si affiderà all’eterno Sacerdote dal Cuore Divino, il suo respiro è sempre più lento e quegli occhi si chiudono per sempre alla visione su noi per riaprirli per l’eternità su di te.

Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà al suo lavoro … hai lavorato con lui e per lui,  ti ha incontrato pronto e ti ha portato con sé.

p. RIccardo Regonesi

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