Leadership e prevenzione degli abusi

Superiori a confronto

Non so se sia la complicità del luogo che subito consente ai battiti cardiaci di rallentare. Non so se giochi un ruolo importante anche il silenzio, rotto solo dal gradevole scorrere dell’acqua della fontana con la statua del Sacro Cuore che, a braccia spalancate, dà il benvenuto appena si entra nel grande giardino che circonda la Scuola Apostolica di Albino.

Di certo so che questa è la seconda Assemblea dei Superiori alla quale prendo parte con l’incarico di verbalizzare quanto emerge, sempre nella stessa cornice, e l’elemento comune è il buon clima di condivisione e di confronto. Lo dico con certezza e con il “vantaggio” di poter vivere l’assemblea da “esterna”, quindi con una visione che consente di cogliere certi aspetti dal punto di vista che non sia quello di chi è presente per l’incarico che ricopre, vale a dire l’animatore della propria comunità o fraternità.

Già, perché animare la vita quotidiana della casa dove si vive con i confratelli è il verbo che più si adatta alla figura del superiore (o referente, nel caso delle fraternità) ed è anche il vocabolo che alla fine dell’assemblea ha riassunto quanto è stato detto a proposito di tale figura.

Due le relazioni presentate: una da p. Victor de Oliveira Barbosa, direttore del Centro Studi Dehoniani, su “Dehon e la leadership”, nel pomeriggio del 14 gennaio 2025 e l’altra, preparata da p. Marco Mazzotti, su “Vita comunitaria e prevenzione degli abusi” discussa nella mattina del giorno successivo.

Due temi diversi, uno che parte dalla figura del Fondatore, facendo leva sul suo esempio, sul suo insegnamento, sul suo essere capace di trascinare, pur tra fragilità ed errori che gli sono costati cari, i propri religiosi fino a farne una Congregazione che quest’anno compie 150 anni, l’altra calzante per tempi in cui il tema dell’abuso è purtroppo sempre alla ribalta delle cronache, religiose e non.

Due relazioni, apprezzate, esposte con chiarezza, in tempi non troppo lunghi per non minare l’attenzione dei presenti, che nonostante la diversità dell’argomento, sono l’una figlia dell’altra: al centro c’è sempre la figura di chi deve, magari suo malgrado, guidare un gruppo di persone, confratelli o laici che siano, nel delicato compito della sfida quotidiana, sia essa la vita comunitaria o l’accompagnamento spirituale di persone che si affidano al religioso per avere una guida nel cammino non sempre facile da compiere.

Quindi, due fronti diversi? No, complementari e soprattutto inscindibili, perché non può esserci comunità senza un superiore e viceversa. Chiaro deve essere il compito che il “nocchiero” deve svolgere per dirigere con sicurezza la propria nave e pertanto chiari devono essere i mezzi per poterlo fare (la preghiera, il confronto, il servizio, l’aiuto, la correzione fraterna). Allo stesso tempo la comunità deve essere il luogo dove ciò che ho indicato tra parentesi possa esprimersi, favorendo la crescita del singolo e fornendo anche le carte del “luogo sicuro”, del confronto, del “controllo” (nel senso di occhio vigile) per non restare prigionieri di dinamiche, ben illustrate da p. Mazzotti nella sua relazione, che possono trascinare in relazioni asimmetriche non sane.

Leadership e prevenzioni contro gli abusi (che non necessariamente devono coinvolgere la sfera sessuale, intendiamoci) possono andare a braccetto? Eccome! Lungi da me riprendere i testi presentati ad Albino (verranno pubblicati a puntate nelle pagine del CUI nei prossimi numeri) anche perché sono stati forniti nella loro interezza a tutti i superiori; gli scambi di opinioni, le domande fatte in sala e il libero confronto tra i confratelli, schietto e aperto alla condivisione di esperienze, hanno fatto emergere con molta trasparenza che conoscere la figura del Fondatore, seguire le sue indicazioni, soprattutto il suo esempio, non solo non è anacronistico, bensì fornisce le chiavi per vivere la comunità e in comunità con il giusto atteggiamento e con la certezza che dal parlarsi, dal confrontarsi escano il meglio per la propria crescita e per quella del prossimo.

Farsi prossimi al confratello, aprirsi al dialogo, crea quella rete di sicurezza che rende la comunità il porto sicuro dove l’altro non sia un estraneo, bensì un sostegno, un confidente con cui condividere anziché chiudersi.

E l’aspetto più interessante è che tutto ciò che è stato detto in assemblea, non è ad esclusivo appannaggio del religioso/chierico/sacerdote, ma ha una valenza anche per il laico/a che si trova in analoghe situazioni di vita quotidiana nei luoghi in cui vive e che frequenta, oltre ad essere l’altra parte della relazione asimmetrica di cui tanto si è parlato.

Simona Nanetti

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