P. Luigi Mostarda
Nato il 26 novembre del 1940 a Concesio (BS)
Professo ad Albisola il 29 settembre 1958
Presbitero a Concesio il 28 giugno 1968
Morto il giorno 8 gennaio 2022
Padre Luigi Mostarda era nato il 26 novembre del 1940 a Concesio (BS).
Ricevette il Battesimo pochi giorni dopo, il 2 dicembre, e fu cresimato il 12 settembre del 1948, nella parrocchia di Concesio (BS).
Postulante ad Albino dal 28 giugno 1957, iniziò il Noviziato ad Albisola il 28 settembre1957 e fece la Prima Professione al Albisola il 29 settembre 1958.
Venne ordinato Presbitero a Concesio il 28 giugno 1968.
Ha frequentato il Ginnasio ad Albino dal 1952 al 1957 e il Liceo e la Filosofia a Monza dal 1958 al 1962. È stato Prefetto ad Albino dal 1962 al 1964 e poi ha studiato Teologia a Bologna dal 1964 al 1968, dedicandosi anche agli studi di Sociologia in quel di Verona.
Dal 1968 al 1975 ha prestato servizio come assistente presso il Villaggio a Bologna, dove è stato rettore dal 1975 al 1981 e poi economo dal 1981 al 1982.
Parroco presso la Parrocchia di Cristo Re a Milano (1983-1997), ne è stato rettore ad complendum triennium fin al 1985, in seguito rettore fino al 1996 ed infine ha svolto anche il compito di economo dal 1996 al 1997.
È stato Superiore provinciale per due mandati al 1997 al 2003 e rettore del Collegio Internazionale a Roma, dal 2003 al 2013.
Nominato superiore a Castiglione delle Stiviere, dal 2014, e rettore del Santuario San Luigi Gonzaga, vi è rimasto svolgendo con passione e dedizione la sua missione in mezzo alle persone fino al 2021, quando è stato trasferito presso la Comunità di Genova, in seguito alla chiusura della Comunità di Castiglione dopo la scelta della Diocesi di Mantova di non avvalersi più del servizio dei Dehoniani.
Si è spento nel sonno il giorno 8 gennaio 2022.
Esequie di p. Luigi Mostarda
Pieve di Concesio – 10 gennaio 2022
[ Rom 8,31b-35.37-39 ; Gv 17,24-26 ]Il mistero del Natale di Gesù si è appena concluso e ci troviamo qui a celebrare il natale di p. Luigi, la sua “nascita” al cielo. Così la Chiesa primitiva considerava la morte, definendola “dies natalis”, il lieto evento che porta a conclusione il nostro cammino terreno. Anche p. Luigi, come ogni buon cristiano, ha vissuto con la ferma intenzione di essere “figlio” come il Figlio, deciso a vivere quella familiarità con il cuore di Gesù e col suo stile di vita che gli permette di dire, con il vecchio Simeone: «Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli» (Lc 2,29-31).
È curiosa, e grandiosa insieme, la visione cristiana del mistero dell’uomo, dove vita e morte sono facce di un’unica medaglia, espressione di una volontà d’amore divina che ha pensato in stretta comunione l’inizio e il compimento, il dolore con la gioia, la morte con la vita. Tutto questo intreccio ha un nome: speranza cristiana, realtà che ci permette di vivere momenti duri come questi, i momenti della separazione, nella certezza che quell’unione che abbiamo vissuto durante la vita non si spezza; anzi, proprio in momenti come questi sentiamo che è forte il richiamo a vivere attentamente, in una continua conversione interiore, e divenire capaci di valorizzare ogni momento, anche i più difficili e faticosi, perché non si rompano mai le relazioni ma tutto sia vissuto e composto nell’amore e nella riconciliazione. Chi ha conosciuto p. Luigi ha potuto sperimentare un’accoglienza pronta, un sorriso che mette a proprio agio e un interesse concreto per la propria persona e per la propria storia. Il Villaggio del Fanciullo di Bologna, la parrocchia di Cristo Re e la nostra Curia provinciale di Milano, il Collegio internazionale di Roma, come il Santuario di s. Luigi Gonzaga di Castiglione delle Stiviere, hanno potuto godere della sua presenza e del suo servizio attento, tutti luoghi in cui p. Luigi ha cercato di incarnare l’ideale oblativo tipico del nostro carisma di Sacerdoti del s. Cuore di Gesù, cioè donare se stesso a chiunque incontrava con pronta disponibilità, lasciando così un ricordo bello e ricco di gratitudine per la sua testimonianza evangelica.
Le parole positive che abbiamo accolto dalla prima lettura esprimono bene lo spirito con cui p. Luigi ha voluto vivere: «se Dio è con noi, chi sarà contro di noi?». Se Dio ci ama al punto di donarsi nel Figlio incarnato, morto e risorto, forse che «non ci donerà ogni cosa insieme con lui?».
Non è difficile immaginare come p. Luigi si è prodigato con grande responsabilità – come dovremmo fare tutti – di essere parte di questo «ogni cosa» che Dio ci dona nel Figlio Gesù. È questo, infatti, che rende bellissima la nostra vita: sapere che ognuno di noi è manifestazione, è un’epifania di Dio quando si dona generosamente, senza calcoli a chi gli sta vicino, a chi cammina al suo fianco nel viaggio della vita. Tutti noi, figli di Dio, un Padre che si compiace di noi, siamo “dono” gli uni per gli altri… e un dono è pienamente tale quando si offre, è comprensibile e giunge a destinazione, quando illumina e alimenta la vita di chi lo riceve come un’offerta gratuita. È stato questo il criterio con cui p. Luigi ha cercato di dare un senso coerente alla sua vita, sempre: quando era in mezzo ai ragazzi del Villaggio del Fanciullo, quando si prendeva cura della sua gente come parroco e dei confratelli come superiore provinciale a Milano, quando accoglieva e accompagnava i confratelli studenti provenienti da tutto il mondo a Roma. Lo ricordiamo sempre positivo e conciliante nel suo servizio di superiore provinciale, negli anni a cavallo del nuovo millennio, e lo ricordano con gratitudine i cristiani che frequentavano il santuario di s. Luigi Gonzaga, a Castiglione delle Stiviere.
Questa serenità di p. Luigi non è stata soltanto un bel dono personale. È anche una provvidenziale provocazione per noi. Ma questa serenità, questa capacità di accoglienza e di ascolto, non sono cosa che si improvvisa, non si comprano al mercato. È, piuttosto, il frutto di una scelta consapevole di vivere radicati nella fede, nella speranza e nell’amore in Cristo che offre la sua vita a tutti, facendo di questa sua oblazione il criterio della nostra libertà. Forse oggi ci riempiamo facilmente la bocca della parola “libertà”, pensando che possa essere tutto e il contrario di tutto, termine fin troppo inflazionato. Ma la libertà ce la insegna Gesù Cristo, e noi possiamo parlare davvero di libertà quando la intendiamo come libertà di amare come ama Dio. Questa è libertà che impegna tutto noi stessi, che non segue soltanto il criterio emotivo del momento – una spontaneità troppo superficialmente chiamata “libertà” – ma piuttosto di una scelta seria di fare della propria vita un dono, come ha fatto Gesù… e come p. Luigi ha cercato di vivere. Solo così si arriva a vivere la convinzione che «nulla può separarci dall’amore di Cristo», nulla e nessuno, mai!
E quando portiamo nel cuore questa certezza di fede che segna concretamente la nostra vita, allora vogliamo condividerla con gli altri, proprio come Gesù: «Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi dove sono io, perché contemplino la gloria che mi hai dato».
Questa energia espansiva, forza dello Spirito Santo che è ci è stato donato, p. Luigi l’ha manifestata nella sua umanità e nella cura delle persone. Anche lui, come tutti, ha donato se stesso così com’era e con quello che aveva – con i suoi pregi e limiti, con le sue forze e fragilità – nella più ovvia normalità: ha offerto ciò che era per essere, anche lui come Gesù, manifestazione della misericordia di Dio Padre. Infatti, come dice il brano del Vangelo appena ascoltato, noi abbiamo il grande potere di far conoscere Dio al mondo quando facciamo dello stesso amore con il quale Dio ci ama la regola della nostra vita, il criterio con cui viviamo la nostra relazione con i fratelli, in famiglia, nella società, nella comunità ecclesiale. P. Luigi ha cercato di farlo nella sua vita e noi, mentre ringraziamo il Padre di avercelo donato come fratello e compagno di viaggio, accogliamo l’eredità della sua testimonianza cercando di fare altrettanto: dare il nostro volto all’unica, vitale offerta di Cristo, nostra Vita e nostra Libertà!
p. Renzo Brena sci
Un ricordo di p. Rinaldo Paganelli
Qualcosa di personale
Padre Luigi, non sono stato al tuo funerale! Questo scritto non vuole essere un modo per giustificare un’assenza o per riparare, ma un’opportunità per lasciare traccia, attraverso qualche parola, di quello che hai messo dentro il mio cammino. L’anagrafe dice che diversi anni ci dividono. Questo dato non ha impedito di intrecciare un percorso che ha avuto tappe interessanti. Prima di mettermi a scrivere ho dedicato un po’ di tempo chiedendomi quale poteva essere la parola guida di quello che provo a dire. Si sa che la parola ci precede, l’abbiamo dentro e ci orienta, ma solo se la nominiamo con precisione, può far accadere ciò che segnala, altrimenti la vita possibile, in essa custodita, muore. Così ho sviluppato un elenco di sinonimi del tuo modo di essere: ricerca, riuscire, scoperta, ritrovare, esperienza, amicizia, cambiamento fruttuoso. Tutte espressioni che aiutano a scoprire ed educare questo principio di animazione che ti ha abitato e reso capace di moltiplicare la vita in modo inedito e vero. Si sa che il desiderio autentico è una fonte celata in noi, da cui scaturiscono ogni pensiero, parola e azione nuovi e creativi, ma è spesso sepolto sotto i detriti di falsi desideri indotti dalla cultura dominante e dalle ferite che abbiamo, ma è solo l’acqua di questa fonte che ci porta alla terra promessa, a ciascuno di noi. Le testimonianze rilanciate dai social, dopo la tua morte, hanno messo in luce la tua capacità di “accoglienza per la persona e la sua storia”, “gioia per averti incontrato e conosciuto”, “sorriso capace di mettere a proprio agio”, “dono speciale in momenti di fatica”. Il dono autentico lo si riconosce perché è libero, originale, audace, fecondo, non mortifica mai la vita ed è capace di abbracciare fatica e impegno come merita il suo realizzarsi. Chi vi attinge trasforma l’aridità di un campo in giardino. A chi legge, voglio consegnare tre quadri di quello che stato il cammino vissuto.
Il segreto per riuscire
Per sapere che cosa è importante della vita di una persona bisogna fermarsi e chiedersi: che cosa ricordo di buono? Provo a farlo e vedo dei volti e delle azioni. Hanno in comune il fatto di essere istanti in cui si è amato e si è stati amati, ci si è preso cura del mondo nel modo irrepetibile in cui è possibile farlo, con tutti i propri limiti. Mentre rifletto ad alta voce con questi pensieri sento che il desiderio autentico porta a prendere posizione in favore di qualcosa per cui siamo disposti a dare la vita, un pezzo di mondo per cui ci scopriamo insostituibili, è un’unicità realizzata, fatta carne. Ti ho incrociato una prima volta verso la fine degli anni ’70. Eri presidente al Villaggio del Fanciullo, io iniziavo la teologia allo Studentato. Hai chiesto collaborazione per preparare un gruppo di signore a conseguire il diploma di terza media. Con me erano coinvolti Gervasio Durello, Roberto Mela, Enzo Brena. Era la mia prima esperienza che aveva il tono di un insegnamento, affrontata con il giusto timore di non essere all’altezza del compito richiesto. Il tempo ha permesso di far nascere una positiva complicità, e mi ha aiutato a scoprire la tua attenzione per i bisogni concreti delle persone. A capire che, perché il fare sia pieno di grazia, la sua fonte va liberata dal disamore e incanalata verso la terra che spetta a noi curare. Il desiderio autentico fa fiorire la nostra terra-vita, i desideri falsi invece la rendono sterile. L’azione serve a far muovere ciò che è autentico. Siamo pronti a tutto se ci stacchiamo dai desideri che crediamo nostri, e se ci mettiamo al servizio di ciò che è vero. L’acqua del desiderio trasforma la terra in giardino, quell’eden che troppo spesso crediamo di aver perduto, quando invece è solo da fare e in favore di qualcuno.
L’arte di ritrovarsi
Ci siamo incontrati poi nel consiglio provinciale: era il 1997. Un primo triennio con p. Pietro Cavazza come provinciale, e poi successivamente è toccato a te e io come primo consigliere. È stato un tempo non banale, ogni volta che ne parlavamo venivano alla mente persone e fatti che ci hanno arricchito. Fedele al tuo tratto discreto, negli anni guida della provincia, preferivi non parlare di quello che sarà, era una regola alla quale attenersi. L’esperienza ti aveva consigliato che è meglio non dire niente quando inizi e niente quando finisci. Si parla nel mezzo. La scena va lasciata ai fatti, alle persone. Avevi chiara la percezione che ciò che decidiamo di fare nel tempo genera in e fuori di noi più o meno vita. Solo scegliendo e agendo si dà forma. Michelangelo levava il superfluo dal marmo per arrivare all’essenziale, e nell’arte di vivere siamo sia lo scultore che il marmo, dare forma è andare verso l’opera d’arte di sé. Ma la pietra per ricevere una “forma” deve essere fragile e lo scultore coraggioso, e questo ha un prezzo. Il conformismo toglie la sana inquietudine della nascita. Nel tuo servizio di provinciale hai esperimentato che evitando i dolori al parto della scelta, si rinuncia a una vita più vera, più nata. In un dialogo di alcuni anni fa mi hai fatto capire che chi non sceglie, chi non sa rinunciare a nulla non rinasce. Solo facendo scegliere si provoca nelle persone l’incontro con se stesse, scolpiscono il blocco in-forme e diventano un po’ più opera d’arte. Tu hai finito di scolpire il tuo blocco informe, per Lui con Lui e in Lui sei pienezza. Mi dici che, il nuovo è oltre ciò che il mondo monotono e piccolo, oggi, ieri, domani, sempre può dare. Il nuovo è l’inesauribile desiderio non ridotto a bisogno, è inquietudine che diventa rischio di esplorazione. Solo il nuovo libera, perché spinge a cercare l’irraggiungibile, abbandonando amari paradisi artificiali e rendendoci coraggiosi noi siamo fatti per ben altro, per ben oltre.
I centri dell’universo
L’ultima tappa di incontro è stata a Roma. Tu rettore del collegio internazionale (2003-2013) io collaboratore prima a tempo parziale e poi in forma stabile con la curia generale. Nel primo tempo dedicavo settimanalmente una giornata al lavoro di gestione di quanto mi veniva chiesto. Era un momento bello di internazionalità, ma anche di convivialità. Fratel Mario Stecca sapeva della mia golosità e trovava sempre il modo di sorprendermi con qualcosa di gustoso. A te non dispiaceva questa complicità italiana, ma eri preoccupato di non fare distinzioni per creare l’accoglienza più piena verso tutti. Ti piaceva essere amico. Colui che offre lo spazio dove far abitare le fatiche, fare da cuore esterno dove andare perché le difficoltà avevano reso più pietrificato il cuore di chi a te si rivolgeva. Accade in ogni amicizia in cui l’altro fa da spazio di carità, dove riesci a parlare di te stesso senza vergognarti. Sapevi creare spazio in cui poter riposare quando uno non riusciva a farlo dentro se stesso. Questa amicizia, alla base di ogni relazione duratura ha potere creativo: tira fuori un supplemento di esistenza. È come un pezzo di puzzle, il buco non è un’assenza ma una possibilità di legame, e l’immagine finale è il frutto di inca-stri quasi invisibili ma perfetti. La creazione è completa proprio perché i pezzi da soli, sono incompiuti, e l’incompiutezza è lo spazio per legarsi. Questa è la fecondità del limite e dell’imperfezione. Si costruisce un centro di vita ogni volta che le braccia si aprono, e le mani aperte per chiedere, si scoprono a donare, e nell’abbraccio non si sa più chi dà e chi riceve. Si inaugura insieme uno spazio nuovo. Dove si può stare, non in quiete, ma in pace. A farci invecchiare ci pensa la natura, ma a maturare dobbiamo pensarci noi. E si matura solo per amore, ricevuto e donato. Grazie per aver ricevuto e donato.